sabato 17 marzo 2012

Anestesia Emozionale


Se volessimo scrivere la parola ROCK ed affiancarla al nome di una formazione emergente, certamente sbaglieremmo ad escludere una formazione come quella degli: 
ANESTESIA EMOZIONALE.

La band a cui dedichiamo questo spazio, è una formazione che propone un Grunge Rock di di quelli che ti arrivano diretti allo stomaco come un pugno. Il fatto è, che non si limitano a colpirti, la stessa mano afferra il tuo "spirito" e lo porta fuori. 
Attraverso un'operazione chirurgica, gli ANESTESIA EMOZIONALE, suturano una voce eccezionale ad un sound interessante, a compimento di una perfetta intesa tra tutti gli elementi di questa band.
"Narcolessia" è la prima traccia che descrivo e che ci fa "schiantare" in un mondo musicale ruvido e tagliente. 
Questi ragazzi di Ariano Irpino utilizzano il bisturi per recidere tutto quello che è superfluo dalla loro musica, come se asportassero una parte necrotica. Tutto questo lo fanno tramite suon di pennate, collegando ritmi scatolati, attraverso melodie che vanno dall'Opera ad il Metal, non dimenticando un accenno al PostRock
E' come quando, da bambini, siamo caduti dai pattini o dalla bicicletta, dopo aver fatto un ricco pianto, ci asciughiamo le lacrime e risaliamo nuovamente in strada. Ugualmente dopo aver ascoltato il primo brano saltiamo in sella al secondo per immergerci in "Lillium". Ancora frastornati, impauriti e dolenti, ascoltiamo questa nuova traccia che ci scuote e ci coccola nel contempo.
Gli ANESTESIA EMOZIONALE si rivolgono ad un pubblico compreso tra i 20 ed i 40 anni, con brani apparentemente poco innovativi e di facile comprensione, ma il loro modo di presentarsi, musicalmente parlando, lascia un piacevole senso di curiosità.
Con "Carillion" si conferma la capacità, già apprezzata precedentemente con gli altri due brani, della formazione di coniugare un ottimo testo con gli strumenti sottolineando il senso del brano. 
       Un esempio: "...nel respirare muore l'idea....RESPIRA!!! RESPIRA!!!"

E' come se, dopo averli ascoltati un paio di volte, avessimo l'impressione che qualcuno avesse piantato un seme e tutti insieme si attende la nascita della pianta.


mercoledì 29 febbraio 2012

Soul Drivers

Recensione 021: di Mr Renton
Questo splendido progetto romano, partito dal 2005, proietta a noi carnivori delle sette note, un pasto completo metabolizzante, ricco di Britain e fottuta dimestichezza nel suonare bene.
Nell’attivo un solo Ep del 2008, chiamato appunto con il nome della band. Vantano l’apertura ai concerti di gruppi del calibro dei The Wombats, Foals e chi ne ha più ne metta, portano avanti con esplicita romanità, un beat dal suono antico e nuovo nello stesso tempo, perché alla fine, diciamo la verità, a fare indie ormai sono capaci anche i sassi, ma fatto in questo modo ti viene voglia di muoverti soltanto a tempo di esagerata e fantastica alternanza strumentale.
Si apre il tutto con “oh boy“: durante la durata del pezzo si è da prima rapiti da una spiaggetta californiana, la quale, trasformata dalle tastiere in una di quelle di ostia, si rinuncia al bermuda, alle infradito, ai supplì di mezzogiorno per arrivare nella spiaggia stessa nel modo più scomodo di tutti, provateci voi ad arrivare al mare in stivali e calzoni stretti, nelle cuffie Damon Albarn è soltanto l’ennesimo cantante di amici, i coatti passano con i motorini, ti fissano, ti prendono in giro, tu sorridi perché porti una bandiera, loro soltanto volantini.
Con “before today become tonight“, si riesce ad intuire il motivo per cui questi insoliti romani hanno aperto i concerti a band che abbiamo citato prima, non c’ è niente che porti all’Italia, a parte il momento finale del pezzo, in cui esce fuori il tipico suono da rissa romana, ma all’inizio, mandati letteralmente a fanculo da una simpatica signorina appartenente al codice di Albion, si descrive in pieno l’attività elettrica del cervello nell’essere storditi, bottiglie su bottiglie trasparenti lungo il cranio, emorragie notturne, flebo mattutine, Ph-acido, specchietti orizzontali e male di amore.
Non è Brasile, non è Germania, è suono da citofono, concerto sotto la finestra ma non nel dimostrare la propria inaffettività o scusante in particolare, quando qualcuno si muove qualcun altro resta fermo, ma bisogna comunque ricordare alla popolazione che la voce è definita come suono o rumore e anche se si è bugiardi, almeno c’è la consapevolezza dell‘esprimerlo, questo è “great liar“.
In “sorry about the things“ il ricordo di begbie in trainspotting vi potrà sembrare la più vicina somiglianza al gattino delle vecchie suonerie Nokia. Steso su un bancone si aspetta l’ennesima pinta, l’altro davanti ti parla e te rispondi si a qualsiasi cosa, ti ritrovi parcheggiato il più lontano possibile da casa, in tasca una foto di te che urini di fronte ad una Police Station e poi…. Ohohohohohohoh.
“Why did yor love fall apart“, quante volte si pensa al mestiere di vetraio, l’A.M.A. diventa un istituzione nel raccogliere i pezzi per strada, cuori abbandonati in un angolo senza cani per far pena a nessuno, la mano non resta tesa, la gente porta allo stadio Olimpico la tua faccia e la prende a calci, la musica la gente non sa neanche dove è di casa, ti guardi intorno, canti a lei le sue paure, cade qualcosa, i tagli sotto ai piedi sono molteplici ma non servono cerotti, non tocca mai far cucire prima le ferite .

Questo è un gruppo che permette alla musica Creative Commons di volare alto, le major stanno bene dove stanno.

Mica ci sono piaciuti nooooooooooooooo???????????


Contatatti:

domenica 30 ottobre 2011

Kevlar Project

Recensione  020: di Mr Gasperino

E' proprio vero, qui a NartraradioRoma si trattano solo artisti che ci piacciono e ci suscitano emozioni. Ed è così, che da tempo giravo e rigiravo per trovare  qualche formazione musicale su cui scrivere. Non trovandone, avevo appeso la tastiera del mio computer al chiodo.
Me ne stavo tranquillo, guardando i nostri contatti internet, quando (dal nostro pagina Facebook) qualcuno bussa:
                     - Toc! Toc!!  c'è qualcuno?
                     - Si sono qui!
                     - Ciao noi siamo una formazione romana.
                     - Ciao, come posso esservi utile?
                     - Dove possiamo mandarvi i nostri demo?
Sbrigate le formalità del caso è giunto, in redazione, il materiale dei Kevlar Project. Lo preso e lo messo lì, da una parte. Poi, dopo un po di tempo, li ho ascoltati ed ecco che è tornata in me la voglia di scrivere nuovamente per qualcuno che mi emozionasse.
Bene, che stiamo parlando di una Band romana, già lo scritto, ma ciò che ancora non ho detto che ci troviamo difronte ad una formazione indipendente che esprime il proprio talento artistico attraverso il Grunge/Rock. Preso per assioma il fatto che non amo affatto etichettare gli artisti con i generi, se si pensa al Grunge inevitabilmente ci vengono in mente i Nirvana, i Ten o i Pearl Jam. In realtà credo che ogni gruppo può esprimere la propria arte attraverso le proprie idee e quella di questa band a me ha entusiasmato. 
Nascono dalle ceneri di un'altra formazione i Kevlar Project, calpestato i palcoscenici  dell'Italia centrale,  dopo la perdita del basso, la band, si trova a dover rivedere il proprio assetto armonico. Il trio (Daniele, Marco e Stefano)  due chitarre, due voci e una batteria, ci presentano una compattezza sonora. 
Escono con un primo cd alla fine del 2010 composto da tre canzoni. Se è vero il detto che recita il buongiorno si vede dal mattino, sono state sufficienti solo tre traccie per spingermi a raccontarvi di questa formazione che presenta testi in italiano.

Divorare l'aria: Questa è la traccia meglio riuscita ed inizia con un riff di chitarra dove fa da apripista agli altri due componenti che sapientemente riempiono anche l'assenza del basso. Testo metafisico che rende un'idea precisa e costringente come restare intrappolati in una bolla di sapone. [Video]

Captivus daemonis: il secondo brano non nasconde un passato hardrock  della band che ci conduce piacevolmente in una melodia armonica della voce.

Nemmeno Giuda: in questa canzone emergono le continue tentazioni che il protagonista di questa traccia si trova a combattere, il desiderio e il coraggio di non cedere per paura del dolore, sono il sunto di questa traccia esegutia magistralmente dai tre.

Chitarre imponenti e ritmica precisa.
Arangiamenti ben studiati.
Testi riflessivi e mai banali dove ermeticamente ogni traccia esprime un concetto ben più profondo che va al di là delle parole.
Ottimo progetto da sostenere, incentivare e seguire.

Il loro contatto myspace.
La loro pagina Facebook

venerdì 14 ottobre 2011

Gli amici imborghesiti


Recensione 019: di Mr Renton


Gruppo nato a Roma nel 2008. 
Composto elenco/telefonicamente da:
Biagio De Angelis: voce
Vittorio Belvisi: chitarra
Massimiliano Di Bacco: batteria
Andrea Cristallini: “crystal” guitar
Elio Cerchiara: basso
 

Giochi di chitarre alla Strokes e voce parentelistica ad Edoardo Bennato , suonano il motivetto che si ascolta dall’altra parte del muro della propria stanza e cantano quello che è appeso nella stessa. 

"Suicidiosincrasia": è una metafora drogata, di cui fa parte del viaggio una sottile ironia da cappuccetto nero, fallo con le mani, con la bocca o con la bottiglia di vetro poggiata sul marciapiede, all’interno la voce del cantante pronta ad aiutarti al gesto.

“La voglia“: in questa traccia c’è un ideale spiegazione etimologica del vocabolo del titolo, come se fosse il nome di uno stabilimento degli anni ’60, ma stavolta non si è venuti con le vespe e con il ciuffo, non si ha la voglia, se ne resta anche lei tranquilla sotto nuvole a forma di sole.

“L’impercettibile disimpegno“: il testo con rima alternata, racconta la visione artistica di vari personaggi animaleschi animati,  tra cani, furetti e canguri che si bevono latte e mescalina nella savana, ci si trasforma pure noi in qualsiasi reazione chimica di quell’angolo del cervello di uno degli animali.

“Il paradosso del drago“: qui la cosa è semplice, ci si trova in un ristorante cinese di periferia, dove di fronte si litiga con la propria ragazza, e non si vuole più parlare perché tra il dire e il fare a volte si vuole solo dormire su reti metalliche fatte di do e re e mi e fa (tributo finale agli ac/dc) ti fa! 

“La noia“: quando ci si annoia, si lasciano andare le dita su tazze di caffè con sopra disegnate il proprio volto, si canta in modi diversi, ci si fa lo shampoo con i propri difetti e il barattolo dello zucchero è ovviamente vuoto o al banco dei pegni . 

“Gli altri”: qui si costruisce nella personale area di quartiere mentale, palazzi sulla via dell’abuso esistenziale e il datore di lavoro è soltanto il tuo gemello che ti costringe a fare i turni più assurdi. 

L'imborghesimento non c’entra niente, lo studio degli strumenti non ci interessa, ne i telegiornali o le citazioni, ci si sente imborghesiti anche soltanto avendo la fortuna di avere un tetto sopra la testa e lo si dice, senza problema e con parole alla giacca e cravatta.

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